lunedì 21 novembre 2011

Sabato 3 dicembre 2011 convegno finale del ciclo "La filiera corta che vorrei..."


Il convegno che conclude il ciclo degli incontri "La filiera corta che vorrei..." si terrà il giorno Sabato 3 dicembre dalle ore 9,30 alle 18,00 presso il Museo del Gusto  in Via Principe Amedeo 42/A -  Frossasco (To)
Ecco il programma della giornata:

- ore 9,30 Presentazione del convegno da parte del Gas Pinerolo Stranamore con proiezione di un filmato che riassume gli 8 incontri che abbiamo tenuto sul tema della "Filiera corta che vorrei..."

- ore 9,45 Saluti del direttore del Museo del Gusto

-ore 10,00 Dibattito
“Territorio - Agricoltura - Economia. Validità ed opportunità di sviluppo di una filiera corta dei prodotti agroalimentari ” Introduce il prof. Roberto Burlando (Facoltà Scienze Politiche - Università di Torino), intervengono: Andrea Saroldi (Ruolo ed esperienze di filiera dei GAS) i rappresentanti delle istituzioni locali Franco Agliodo (Assessore all'agricoltura Comune di Pinerolo) e altri, i rappresentanti delle Organizzazioni agricole (Codiretti, CIA, Confagricoltura,Asci) ed i  tecnici del settore - Giulio Re (Scuola Malva - progetti filiera corta)
- ore 13,00 Pranzo preparato con i prodotti dei produttori che collaborano con il Gas Pinerolo Stranamore - Durante la pausa pranzo si potranno incontrare i nostri produttori che allestiranno dei banchetti espositivi all'interno del percorso del museo.

- ore 15,30 Dibattito "I GAS l'economia solidale e la filiera corta esperienze a confronto" - Incontro dibattito tra gas nonchè eventuali realtà solidali del pinerolese e non solo. Introduce l'incontro Andrea Saroldi (rete GAS, tavolo Res ecc..) sono previsti interventi da parte di gasisti dei seguenti gas: Gas Pinerolo Stranamore, Gas Valpellice, Gas Perrero, Gas San Secondo di Pinerolo, Desto Ovest (Piossasco Rivalta), invitiamo sin da ora altri gas o realtà solidali della zona (ma anche di Torino e dintorni) ad intervenire a portare la loro esperienza. Sarebbe un inizio per mettere in rete almento le esperienze dei vari gas e conoscerci tra gasisti. 

Invitiamo tutti, gasisti e non solo loro, a partecipare!!! 
 

giovedì 17 novembre 2011

Torino 19-20 Novembre 2011 - La borsa e i valori - Eventi in programma


La Provincia di Torino, in collaborazione con i Gas, organizza due giorni di seminari, fiera e incontri per favorire la conoscenza e le relazioni tra Gas, produttori agricoli e cittadini.
Sabato 19 novembre alla Casa del quartiere di San Salvario (via Morgari 14, Torino) dalle 9 alle 13 seminari sui temi della filiera e della sovranità alimentare con degustazione di prodotti tipici locali.
Domenica 20 presso la sede del Villaggio Olimpico (via G. Bruno 181, Torino, dove arriva la passerella del Lingotto) dalle 9 alle 18 borsa mercato al chiuso con banchetti dei produttori agricoli e dei Gas. Per il pubblico sarà possibile sia incontrare i produttori ed acquistare i loro prodotti che conoscere i Gas e chiedere informazioni.
Saranno condotte delle simulazioni per presentare "dal vivo" come funziona un Gas e come si svolge l'incontro con i produttori. Non mancheranno seminari di approfondimento su progetti specifici, degustazioni ed animazione.
Per i cittadini sarà quindi possibile:
    * conoscere i produttori della provincia di Torino ed i Gas già esistenti
    * ottenere le informazioni di base per creare un nuovo Gas
    * cercare altri cittadini interessati a creare un Gas
    * essere informati su come mangiare sano secondo la qualità e la stagionalità dei prodotti
    * ascoltare progetti nuovi e racconti di progetti andati a buon fine
    * far partecipare i propri bambini ai laboratori

PROGRAMMA DI DOMENICA 20
- ore 10, ore 11 e ore 12
Simulazioni sul funzionamento dei Gas:
ore 14: presentazione arcipelago SCEC
Seminari su esperienze significative dei Gas
* ore 15: Come organizzare una filiera del pane dal campo alla tavola
- modera Flavio Ponsetti (GAS Roccafranca)
- Il progetto "Farina del nostro sacco" (Rosa D'Elia - gruppo DESTovest)
- Una filiera responsabile del pane (bio) in Piemonte, l’esperienza dei GAC (Marco Arnoulet - CRAB)
* ore 16: Il progetto "El But" e la gestione degli ordini collettivi
- il progetto "El But" (Andrea Saroldi - Ass. GAStorino)
- il programma gasdotto per la gestione degli ordini (Pier Carlo Devoti - Gas Roccafranca)
* ore 17: S come Solidale, acquisti attenti al sociale
- a cura dei Gas La Cavagnetta e Gas Avigliana
- con i produttori: Casa Famiglia Budrola, Coop. Amico e la la Sartoria Coop. Il Gelso - Ergonauti

Per partecipare all'evento si raccomanda di portare la borsa della spesa ed i valori di riferimento. Il nostro GAS ha aderito alle giornate ed il punto di incontro / informazioni di Gas Pinerolo Stranamore sarà presso lo stand di Gas Torino e/o presso il banco della Cascina Gardiol nostra produttrice/gasista.


martedì 15 novembre 2011

Mercoledì 30 novembre serata - Basta con la caccia

Serata per raccontare le ragioni del No alla caccia - Mercoledì 30 novembre 2011 alle ore 21 alla Associazione Stranamore di Pinerolo organizzata dalla Lida.


lunedì 14 novembre 2011

La svendita dei servizi pubblici del comune di Torino

Pubblichiamo qui uno stralcio del testo letto dal portavoce del Carp (Coordinamento ambientalista rifiuti Piemonte) alla audizione che la conferenza capigruppo del Consiglio comunale di Torino ha avuto con i comitati dell’acqua e dei rifiuti sul tema della privatizzazione dei servizi pubblici. Il Pinerolese potrebbe essere coinvolto da tale volontà di privatizzazione sopratutto per quanto riguarda la società che si occupa dell'inceneritore (TRM S.p.A.) di cui tutti i Comuni del bacino Pinerolese dei rifiuti (Acea) hanno acquistato delle quote azionarie. I comuni con questa privatizzazione potrebbero ritrovasi come socio un privato invece che il comune di Torino. (Ricordiamo che per statuto (art.8) TRM non potrebbe cedere quote a terzi che non siano enti pubblici della Provincia di Torino ma  pare  che tale vincolo sia stato superato con la recente finanziaria). [Il testo è tatto dal sito di Torino di Rifiuti Zero]
 
[omissis]
 
La Giunta comunale, un organo non elettivo, propone .. o impone …. al Consiglio Comunale di prendere delle decisioni contrarie, appunto, all’esito della consultazione referendaria del 12 e 13 giugno scorso, con ciò espressamente aderendo al “dettato degli articoli 4 e 5 del D.L. 13 agosto 2011 n. 138 convertito in legge 148/2011, la c.d. Manovra di Ferragosto” e così associandosi alla maggioranza al governo nel tradimento della volontà popolare. Tradimento che, si evince nella delibera di Giunta, è commesso in cambio di trenta denari, ossia con la “forte motivazione” di ottenere i fondi che premieranno gli amministratori che arrivino per primi a dismettere partecipazioni nelle società esercenti servizi pubblici locali.
 
Di fronte a un tradimento così enorme come quello del voto di 27 milioni di italiani, passano in secondo piano i tradimenti che i cittadini torinesi subiranno con l’alienazione di TRM S.p.A. ,  AMIAT S.p.A. e GTT in mani private. In particolare, noi che ci battiamo per una buona gestione dei materiali post-consumo, i cosiddetti rifiuti, siamo assolutamente contrari agli impianti che distruggono tali materiali, che essi siano pubblici o privati. E’ però indubbio che con l’alienazione di TRM S.p.A. a un privato (anche nel fittizio limite del 40%) i nostri amministratori rinunciano al controllo sulla gestione dell’inceneritore del Gerbido. E l’abolizione del principio di non coincidenza del soggetto gestore della raccolta con quello gestore dello smaltimento, stabilito dalla legge regionale n. 24 del 2002, rappresenta un’ulteriore perdita di garanzie. Chi deve gestire raccolta e smaltimento e non solo vuole ma è obbligato, per sua natura giuridica, a fare profitto, evidentemente favorirà l’attività che più gli rende (lo smaltimento), indipendentemente dal fatto che la scelta non corrisponda all’interesse della collettività. 
 
Il Consiglio Comunale sta dunque per dar corso a una decisione dettata da pochi, che avrà un impatto fortemente negativo sulla qualità  della  vita di tutti nel prossimo futuro. La cessione a FTC è l’anticamera per la (S)vendita a privati per poi procedere alla completa finanziarizzazione  con l’avvio delle future Holding  .Mentre altri Comuni, come Napoli, stanno studiando come applicare nel modo più accurato e durevole l’esito referendario, la nostra giunta preme perché si attui in tutta fretta, a tappe forzate e tempi contingentati, la Svenditadi aziende che, i cittadini di Torino, hanno costruito e cresciuto negli ultimi cento anni per avere servizi che, per la loro rilevanza non già economica ma di servizi essenziali al benessere della collettività, erano e dovrebbero restare in totale gestione pubblica.
 
I cittadini, anzi, richiedono una gestione partecipata (così prevede, ad esempio, la legge d’iniziativa popolare per l’acqua bene comune, che potrebbe costituire un modello anche per la gestione degli altri servizi), mentre le mega-maxi-multiutility con sedi remote e contatti tramite call-center si pongono agli antipodi di questa visione. In mezzo sta la gestione pubblica attuale, che spesso lascia a desiderare principalmente perché si è già plasmata su modelli privati, anche nella forma giuridica di società per azioni, con finalità estranee alla gestione pubblica.
 
Che cosa, se non una colpevole volontà politica, uniforme e complice da destra a sinistra, impedisce di ricordare che, come sosteneva negli anni Settanta Aldo Pedussia, allora Direttore Amministrativo dell’Azienda Acquedotto Municipale, scopo delle aziende che forniscono servizi essenziali è quello di “estendere a sempre più larghi strati popolari i servizi fondamentali […];  di svolgere azione calmieratrice sul mercato come componente dell’offerta, di far coincidere il più possibile il costo dei servizi con il prezzo, studiando l’opportunità di far profittare di potenziali e possibili utili la massa degli utenti popolari (con le basse tariffe); di essere battistrada dello sviluppo economico (anche a beneficio dell’iniziativa privata), specie nelle zone depresse. Ne deriva che “l’utile di esercizio […]  non entra nel fine dell’azienda stessa, perché rivela una possibilità forse non espletata di riduzione del prezzo o di possibile estensione e miglioramento sociale del servizio. […] Il criterio dell’economicità in un’azienda municipalizzata deve fondarsi sulla stabilizzazione attitudinale a conseguire nel tempo un equilibrio economico e finanziario che si traduca in pareggio di bilancio e contemporaneamente consenta di perseguire le finalità che stanno alla base del servizio”. Eccetera.Non suonano forse esemplarmente ragionevoli anche oggi queste parole, e perfettamente compatibili anche con il patto di stabilità (e se non lo fossero, permetteteci: si tratta forse di un patto con il diavolo, che impedisce una gestione diretta di risorse collettive?). 
 
Si può parlare di patto con il diavolo, se il centrosinistra torinese segue servilmente la manovra finanziaria di un governo privo di qualsiasi autorevolezza e legittimità, fondato sulla compravendita di voti di fiducia. A Torino dovremo davvero vedere un voto favorevole compatto di tutti gli schieramenti su una delibera così abietta? Si otterranno forse i trenta denari pattuiti, ma essi, e il prezzo che l’acquirente finale verserà per acquisire il 40%, sono una goccia nel mare rispetto al debito cittadino di quattro miliardi di euro. E quale buon padre di famiglia, indebitato fino al collo, per rattoppare soltanto il bilancio annuale,  vende i beni dei suoi antenati? Anzi, non vende, svende, perché, qualora molti altri Comuni obbediscano al governo, a marzo 2012 assisteremo ai saldi primaverili delle ex municipalizzate.
 
Sul libero mercato potrebbe scatenarsi la normale legge della domanda e dell’offerta: pochi compratori a fronte di molti venditori. In queste condizioni saranno ovviamente i compratori che determineranno sia prezzi che condizioni di governo delle aziende. E’ bene sottolineare, fra l’altro, che l’operazione si svolge in condizioni di mercato internazionale segnato da una crisi finanziaria tale che dovrebbe imporre cautela; insomma non è certo il momento migliore. FCT potrebbe non recuperare l’investimento per il quale s’indebiterà con le banche e il privato imporrà l’assoluta autonomia gestionale, elemento gravissimo per la condizione di monopolio nell’erogazione di servizi quali quelli in causa.Quindi la sbandierata condizione del Comune di Torino di garanzia per il mantenimento del 60% di capitale e dei possibili elementi di tutela varrà poco/nulla.E dunque, è proprio il caso che la Cittàdi Torino prenda “atto della necessità […] di incrementare il proprio assetto patrimoniale procedendo a questa svendita? Dov’è l’interesse pubblico?
 
Quali sono i vantaggi per i cittadini, tenuto conto che anchela Corte dei Conti ha attestato che nelle varie esperienze italiane (ed estere) di privatizzazione di servizi i vantaggi ventilati non sono stati garantiti Per i cittadini non si prospettano che danni: incremento del debito del Comune qualora il privato compri a prezzi inferiori alla valutazione del 40% le tre aziende; probabili variazioni al rialzo delle tariffe e tagli di personale e/o riduzioni dei servizi; né è detto che il privato effettui gli investimenti per il miglioramento dei servizi. Ma soprattutto, perdita di risorse comuni costruite nel tempo. Pertanto chiediamo al Consiglio Comunale: 
 
1) Di non approvare  questa delibera riguardante  l’operazione di privatizzazione.
2) Che venga avviato un dibattito approfondito, aperto alla partecipazione di tutti i cittadini, nonché dei comitati e delle associazioni, circa il futuro della gestione del Beni Comuni e dei servizi pubblici anche seguendo esperienze virtuose nazionali ed estere

In decisioni di tale portata deve essere coinvolta la cittadinanza in tutte le forme organizzate e non. La società civile “proprietaria del beni collettivi”, deve essere informata e deve potersi esprimere. Per noi i Beni Comuni sono e devono restare veicoli di partecipazione, di unione, aggregazione, socializzazione  e quindi democrazia.

sabato 12 novembre 2011

I beni comuni. Tra governo e governance, gratuità e monetizzazione.

La parola "governance" è entrata ormai nel gergo comune e viene sempre più usata in tutti i campi ed anche e sopratutto in campo economico politico.  Proponiamo qui una particolare analisi del concetto di "governance" tratto da  un saggio di Riccardo Petrella estratto dal libro "La società dei beni comuni" edito da Carta/Ediesse. Un saggio un po lungo, particolare, che tende ad evidenziare come il concetto di "governance" sia stato imposto in funzione di una privatizzazione dei beni comuni  e per giustificare la monetizzazione della natura e della vita.

Mi propongo di concentrare questo contributo su due «questioni di frontiera» che, a mio parere, sono (o dovrebbero essere) al centro del dibattito teorico e politico sui beni comuni nei paesi occidentali. Penso alla tendenza impostasi negli ultimi quindici anni consistente nel parlare di governance anziché di «governo» dei beni comuni. Penso altresì all’adozione quasi generale da parte dei dirigenti occidentali del principio di monetizzazione dei beni comuni al posto del principio di gratuità.
L’uso del concetto di governance risale alla seconda metà degli anni ’70 allorché l’economia occidentale si trovava alle prese con la rincollatura dei cocci del sistema finanziario andato in frantumi nel periodo 1971-73. Il sistema nato nel 1945 essendo ridotto a macerie (fine della convertibilità del dollaro in oro e dei tassi di cambio fissi, fine dei controlli sui movimenti di capitale, esplosione del mercato delle divise, liberalizzazione dei mercati, deregolamentazione e privatizzazione del settore...), gli operatori finanziari, in primis gli istituti di credito e le società di notazione (rating), si confrontavano col problema di determinare i nuovi criteri quantificabili sulla base dei quali valutare le opportunità d’investimento, e soprattutto le operazioni di vendita/acquisto di pacchetti azionari (le famose OPA, fusioni di imprese, prese di partecipazione...). In effetti, la crisi finanziaria provocò dei grossi processi di ristrutturazione delle banche e delle assicurazioni a livello locale, nazionale ed internazionale.

La soluzione, per i gruppi dominanti, fu trovata nel principio «to increase the shareholder’s value». Un’operazione finanziaria era giudicata buona in funzione del suo contributo alla ottimizzazione della crescita di ricchezza per gli azionisti. Si cominciò quindi a sostenere che i processi di ristrutturazione e di sviluppo del nuovo sistema finanziario procedevano in un buon contesto di governance ai vari livelli settoriali e territoriali, nella misura in cui il risultato globale era l’ottimizzazione del valore del capitale azionario. Non per nulla, successivamente, negli anni ’90, si cominciò a misurare l’importanza delle imprese e a stabilirne la graduatoria mondiale in funzione della loro capitalizzazione e non più del numero di occupati e/o del fatturato.

Dalla valutazione delle operazioni finanziarie, il criterio in esame fu rapidamente applicato alla valutazione della gestione generale di qualsiasi impresa (e non solo di quelle quotate in Borsa) e poi esteso alla gestione di un settore industriale od economico, servizi pubblici compresi. Così, verso la fine degli anni ’80, il principio «to increase the shareholder’s value» fu utilizzato, in concomitanza con il principio di competitività, per valutare ogni scelta economica, ivi comprese le scelte economiche e sociali di un governo, per finire nel corso degli anni ’90 col valutare l’intera società (onde la valenza generale del concetto di governance acquisita negli ultimi anni).

A partire dal momento in cui i dirigenti hanno deciso che il valore di una cosa, di un’impresa, di una strategia di sviluppo, dipende dal suo contributo alla creazione di valore per il capitale e per i suoi detentori, è logico che essi siano passati da un uso del principio limitato alla gestione di operazioni finanziarie a quello applicato alla gestione di un’impresa, poi alla gestione dell’economia in generale.

Il che spiega anche la relativa facilità con la quale gli stessi responsabili politici, considerati tradizionalmente rappresentare le correnti di sinistra e progressiste, hanno aderito alla liberalizzazione delle istituzioni e dei servizi finanziari (inclusa la gestione dei fondi pensione e fondi malattia) e poi dell’insieme dei servizi pubblici detti locali, di prossimità, così come alla loro deregolamentazione e privatizzazione.

Questi passaggi sono stati resi possibili proprio per l’egemonia ideologica e culturale assunta dal concetto di governance nella teoria (e nella pratica) dello Stato e della società, come testimonia, già negli anni ’94-95, la comunicazione della Commissione europea, allora presieduta dal socialdemocratico/socialista francese Jacques Delors, sul tema della governance, nella quale la Commissione si schierava a favore dell’adozione del principio di governance.

Fra le ragioni invocate, v’erano due postulati intrinsecamente mistificatori. Da un lato, quello della complessificazione crescente delle società che, nell’avviso della Commissione, implicava l’abbandono dello Stato e della statualità quale luogo naturale e principale dei processi politici ed il loro allargamento a tutti i possibili «centri» di decisione politica definiti gli stakeholders, cioè i portatori d’interesse. Dall’altro lato, il postulato della mondializzazione che, secondo i suoi sostenitori, implicava per la democrazia lo spostamento della decisione politica dagli stati nazionali alla governance vuoi internazionale vuoi mondiale1.

Fondandosi sui due postulati, la governance è stata definita come il nuovo sistema di organizzazione delle decisioni politiche a livello nazionale, internazionale e mondiale basata sull’incontro/dialogo/discussione tra tutti i portatori d’interesse rappresentativi delle varie componenti della società quali gli Stati, le imprese, i sindacati, i cittadini, le collettività locali, le «chiese»... Secondo questa visione, la decisione politica è e deve essere il risultato di accordi e di partenariato tra i vari stakeholders in un contesto di libertà, di cooperazione/competizione, di autoregolazione e di responsabilità «sociale» autoassunta.

Il motore del nuovo sistema di organizzazione politica sta nell’ottimizzazione dell’utilità particolare di ogni stakeholder in termini monetari/finanziari in funzione dell’equazione costi/benefici ai prezzi di mercato. Un’equazione non fissata in maniera generale e per tutti, ma flessibile, variabile a seconda dei luoghi, degli stakeholders in azione, dei tempi, dei settori. La governance non è orientata da un interesse generale, da una utilità collettiva, in funzione dei principi di giustizia, uguaglianza e solidarietà e della concretizzazione dei diritti umani e sociali. Il valore di un bene risulta dalle equazioni provvisorie e parziali che consentono di ottimizzare le utilità degli stakeholders.

In questo contesto, non v’è più spazio né funzione per i beni comuni pubblici. In breve, il governo dell’impresa è stato assunto a modello da seguire per il governo dello Stato e della comunità mondiale.

Il risultato finale di questi spostamenti «tettonici» di natura teorica, ideologica, politica e sociale è stato molto dirompente: – destatalizzazione del potere politico e della politica (lo Stato è ridotto ad uno fra i vari portatori d’interesse, il che fa saltare qualsiasi legittimità generale alla rappresentanza politica espressa dai parlamenti. Questi ultimi non hanno più granché da dire; – privatizzazione del potere politico e sua contrattualizzazione «commerciale» tra soggetti portatori d’interessi particolari; – la responsabilità scade a livello dell’autoregolazione e dell’autocontrollo per cui, per esempio, il politico inter-nazionale non è altro che un processo di negoziato permanente tra soggetti autoregolanti e autocertificanti: vedi il caso macroscopico e ridicolo della famosa «responsabilità sociale delle imprese» e della loro «responsabilità ambientale» o, per quanto riguarda gli Stati, della limitazione spontanea delle emissioni di CO2 o della riduzione, altrettanto spontanea, degli armamenti.

La governance dell’educazione, la governance dei beni naturali, la governance del sistema della salute... sono una pirateria strutturale, un esproprio legalizzato dei beni comuni, della giustizia e della democrazia. È necessario ed urgente che coloro che difendono i beni comuni si battano per l’abbandono dell’uso del concetto di governance. Non farlo, in maniera chiara e determinata, significa diventare complici dei processi recenti di mercificazione dei beni comuni e della loro privatizzazione.


Gratuità vs. monetizzazione

Quanto sopra è stato possibile perché si è imposto di pari passo, in una relazione di reciproco posizionamento di causa-effetto, nell’ambito del crescente predominio della visione capitalista liberale della società e del mondo, il principio cosiddetto della «verità del prezzo» (di mercato).

Fino a non molto tempo fa, il valore dei beni «naturali» indisponibili al mercato (le foreste primarie, la pioggia, le spiagge del mare...) facenti parte intrinsecamente dei beni demaniali dello Stato (o dei Comuni, delle Province), così come i servizi non-mercantili (quali l’educazione, la protezione civile, la salute, la difesa militare, le fognature, i musei...) era un valore di utilità sociale ed umana collettiva, per tutti.

I costi sostenuti dalla collettività per la loro preservazione, produzione, manutenzione ed uso erano presi in carico dalla stessa collettività attraverso la spesa pubblica, finanziata dalla fiscalità generale e specifica. In alcuni casi, la collettività chiedeva ai singoli cittadini o a gruppi di cittadini il versamento di un contributo alla copertura dei costi chiamato tariffa, canone, «biglietto» (tariffa dei francobolli, biglietto dell’autobus o dei treni, canone per il raccordo alla rete elettrica, al gas urbano, alla radio...). Il contributo non aveva la finalità di coprire i costi. Questi restavano principalmente assicurati dalle finanze pubbliche.

Il principio di gratuità dei beni comuni non significa assenza di costi («nessuno paga»!). Significa invece che i costi, molte volte particolarmente elevati (caso della difesa militare) sono presi in carico dalla collettività. La grande conquista sociale rappresentata dall’introduzione nei paesi europei della fiscalità generale redistributiva e progressiva sta proprio nel principio della gratuità dell’accesso e dell’uso dei beni essenziali ed insostituibili per la vita grazie alla copertura comune dei loro costi secondo di principi di giustizia, solidarietà e responsabilità.

Il principio di gratuità, in effetti, è strettamente legato a quelli di responsabilità e di partecipazione (fino ad alcuni anni fa sotto forma indiretta, quella della rappresentazione democratica, via le elezioni dei «deputati» a suffragio universale diretto). È questo principio che ha fatto della Danimarca (ed anche della Norvegia e della Svezia) la «buona società» occidentale del XX secolo, modello per tutte le altre. Il sistema fiscale in Danimarca, piuttosto unico ed originale, fu addirittura dissociato dal sistema del lavoro retribuito.

Il diritto alla vita decente e sociale era garantito a tutti, occupato o no. Da alcuni anni, la Danimarca non è più la società che è stata. Quel che ha reso e rende tuttora il principio di gratuità inaccettabile ai detentori di capitale (ai gruppi dominanti sul piano economico e sociale) è, per l’appunto, il fatto che essi debbano condividere una parte della loro ricchezza «prodotta» per «pagare – gridano – l’accesso all’acqua, alla salute, all’educazione... degli altri, di quelli che non vogliono lavorare, degli immigrati, degli illegali... ecc. ecc.».

Il rigetto della copertura dei costi attraverso la fiscalità e le tariffe pubbliche nel caso dei servizi idrici, dell’accesso alla salute, dei trasporti collettivi... mentre, invece, si accetta il ricorso alla fiscalità per la copertura della difesa militare, si spiega assai facilmente. Mentre la difesa militare si traduce in produzione di beni e servizi che generano fonti importanti di reddito per i detentori di capitali (l’industria militare rende ricchi i privati nazionali ed internazionali), ciò non accade per la produzione di beni e servizi, per esempio, nel campo dell’educazione. Un insegnante elementare, o del secondario, è vissuto – per il capitale privato che paga le tasse – come un costo in assoluto. L’«industria scolastica» non rende ricchi i privati.

Per questo l’economia capitalista parla dell’insegnamento elementare e secondario come di attività lavorative non produttive (il discorso è cambiato recentemente per quanto riguarda le università private specializzate e, più in generale, l’economia della conoscenza ad alto valore aggiunto). Lo stesso vale per la categoria dei burocrati pubblici (a differenza dei burocrati privati che «rendono» finanziariamente). I discorsi e dibattiti sul «costo dei politici» o i «costi della politica» (cui hanno aderito attivamente anche i rappresentanti della sinistra e delle forze dette progressiste) è sintomatico, corrisponde in pieno all’ideologia della governance. Discreditare la funzione del politico ed il ruolo della politica pubblica ha funzionato in maniera efficace in questi ultimi trent’anni.

La monetizzazione dei servizi un tempo pubblici in funzione dell’obiettivo della «verità dei prezzi» si fonda sull’applicazione mistificatrice della teoria dei costi. Il caso della monetizzazione dell’acqua e dei servizi idrici costituisce un esempio illuminante di una serie di mistificazioni legate alla teoria dei costi. L’acqua dei fiumi, delle falde, della pioggia, dicono i dominanti, è un bene comune e resta un bene comune, ma per garantire l’accesso all’acqua potabile c’è bisogno di tubi, di serbatoi, di stazioni di potabilizzazione, di laboratori di controllo della qualità, cioè ci sono dei costi.

A chi spetta coprire i costi? I dominanti affermmano: al consumatore, a colui che ricava un’utilità particolare e personale dal consumo dell’acqua potabile in funzione dei suoi bisogni. Il consumatore, quindi, deve pagare un «prezzo dell’acqua» tale da consentire di recuperare tutti i costi di produzione, compresi i costi d’investimento a lungo termine, più un livello di profitto sufficiente per la remunerazione del «rischio» assunto dal capitale investito.

Si tratta dell’applicazione del «full cost recovery principle», un principio chiave dell’economia capitalista di mercato, fatto suo anche dall’Unione Europea con la Direttiva quadro sull’acqua del 2000. È uno dei principi teorici alla base della governance. Visto che il servizio idrico integrato è «naturalmente» e dappertutto gestito in situazione di monopolio e che, inoltre, ci sarà sempre la necessità vitale di utilizzo dell’acqua potabile, parlare di «rischio capitalista» in questo campo è pura mistificazione.

Inoltre, i dominanti difendono la monetizzazione dei servizi idrici sostenendo che il prezzo di mercato è necessario per garantire l’autonomia finanziaria degli operatori del settore e sganciarli così dal finanziamento pubblico riducendo la spesa pubblica e quindi la pressione fiscale sul capitale privato, il che rappresenterebbe, secondo loro, un buon indicatore di una governance riuscita. Anche qui, la mistificazione è particolarmente grave. Non solo si estrae l’accesso ad un bene/servizio essenziale per la vita (in questo caso, l’acqua) dal campo dei diritti, ma si afferma che i diritti umani e sociali hanno un prezzo di mercato e che essi si vendono e si comprano! La mercificazione della vita non poteva essere più esplicita.

Inoltre, ci si fa burla del cittadino. Non solo lo sganciamento del servizio idrico dal finanziamento pubblico alleggerisce la responsabilità del contribuente ricco, ma addirittura lo scarico sul consumatore del finanziamento stesso si traduce nell’affidare al cittadino ridotto a consumatore il compito di finanziare la creazione di ricchezza per i detentori privati di capitale. Il che è assurdo, oltreché ridicolo: per avere accesso ad un bene/servizio che non sceglie, perché ne ha la necessità vitale, e che ad ogni modo la società/la comunità deve garantire, il «cittadino» di oggi deve contribuire all’aumento della ricchezza del capitale privato.

Infine, i dominanti sostengono che quel che il consumatore paga versando il prezzo dell’acqua non è l’acqua ma i servizi resi. Quindi, non vi sarebbe alcuna privatizzazione e mercificazione dell’acqua. Tutt’al più, dicono, v’è mercificazione e privatizzazione dei servizi idrici. Se ciò fosse vero, il che non è, perché HERA pagherebbe per l’acquisto dell’acqua da Romagna Acque che gliela vende al prezzo dell’acqua grezza? E di cosa si deve parlare se non di mercificazione e di privatizzazione dell’acqua allorché l’Acquedotto pugliese compra l’acqua da Lucania Acque e da Campania Acque pagando dei prezzi dell’acqua grezza differenti a seconda della regione di vendita?

Il caso della monetizzazione dell’aria e delle foreste rappresenta altre varietà di mistificazione. I gruppi dominanti hanno accettato nel 1992 che si parlasse di un «protocollo di lotta contro il cambio climatico» a condizione che i costi connessi alla riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra (GES) fossero coperti attraverso i meccanismi di mercato, in funzione della quantità consumata da ciascun paese, da ciascun settore e da ciascuna impresa rispetto alla quantità massima autorizzata. Così è nato il Protocollo di Kyoto (1997) basato sul «mercato delle emissioni»: c’è chi compra la quantità di GES di cui ha «bisogno» e che supera quella autorizzata e chi vende la quantità di GES non emessa inferiore a quella autorizzata.

Il «mercato dell’aria» è nato. I suoi fautori continuano a difenderlo solo per interesse ideologico ed economico (tutto deve essere mercato) anche se oramai è evidente che il meccanismo del prezzo delle emissioni produce effetti perversi che non gli hanno permesso di contribuire alla soluzione del problema. Come il prezzo mondiale del petrolio non ha risolto alcun problema energetico ed economico – il contrario è vero –, così il prezzo mondiale della tonnellata di CO2 non permetterà di risolvere il problema della lotta al riscaldamento dell’atmosfera terrestre. Pretenderlo è mistificazione da menzogna.

Lo stesso vale per la decisione presa nel 2002 a Johannesburg di monetizzare le foreste primarie. Queste non saranno salvate dalla traduzione in dollari o in euro o in yuan del loro valore, misurato in questo caso in termini del loro contributo alla riduzione dei costi connessi alla lotta contro le emissioni di GES. A parte il fatto che le foreste primarie hanno un valore perché esistono e fanno parte del ciclo integrale della vita sul pianeta, non sarà per il fatto che le azioni dei loro proprietari figureranno istantaneamente sui principali indici borsistici mondiali che esse saranno valorizzate, protette e conservate nell’interesse della vita del pianeta.

Ha forse il prezzo borsistico del grano, del frumento, del riso contribuito ad un migliore governo di questi beni essenziali all’alimentazione della popolazione mondiale? Certamente no. Così dicasi dei medicinali non generici prodotti a partire dall’appropriazione privata da parte delle grandi compagnie chimiche e farmaceutiche multinazionali del capitale biotico esistente nelle foreste primarie. Nel caso del trattamento contro l’AIDS, la monetizzazione del capitale biotico ha soprattutto agevolato un prezzo elevatissimo della triterapia impedendo così a milioni di esseri umani affetti dall’AIDS di essere curati.

La «verità del prezzo» di mercato applicata ai beni comuni pubblici è semplicemente un furto. È tempo, quindi, di abbandonare la monetizzazione dei beni comuni pubblici e di reinventare sistemi basati sul principio di gratuità partendo da forme organizzate a livello locale (da qui l’importanza dell’economia di prossimità, dei circuiti corti) fino al livello mondiale (attraverso forme di transnazionalità e di transterritorialità che restano da immaginare, definire ed implementare). Di nuovo, il principio di partecipazione dei cittadini e quello di responsabilità collettiva condivisa assumono un ruolo centrale determinante.

giovedì 10 novembre 2011

26 Novembre Manifestazione nazionale per il rispetto dell'esito referendario


PER IL RISPETTO DELL'ESITO REFERENDARIO, PER UN'USCITA ALTERNATIVA DALLA CRISI


Il 12 e 13 giugno scorsi la maggioranza assoluta del popolo italiano ha votato per l'uscita dell'acqua dalle logiche di mercato, per la sua affermazione come bene comune e diritto umano universale e per una gestione pubblica e partecipativa del servizio idrico. 

Un voto netto e chiaro, con il quale 27 milioni di donne e uomini, per la prima volta dopo decenni, hanno ripreso fiducia nella partecipazione attiva alla vita politica del nostro paese e hanno indicato un'inversione di rotta rispetto all'idea del mercato come unico regolatore sociale.
Ad oggi nulla di quanto deciso ha trovato alcuna attuazione: la legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua continua a giacere nei cassetti delle commissioni parlamentari, gli enti locali - ad eccezione del Comune di Napoli - proseguono la gestione dei servizi idrici attraverso S.p.A. e nessun gestore ha tolto i profitti dalla tariffa.
Non solo. Con l’alibi della crisi e dei diktat della Banca Centrale Europea, il Governo ha rilanciato, attraverso l’art. 4 della manovra estiva, una nuova stagione di privatizzazioni dei servizi pubblici locali, addirittura riproponendo il famigerato”Decreto Ronchi” abrogato dal referendum.
Governo e Confindustria, poteri finanziari e lobbies territoriali, resisi conto che il popolo ha votato contro di loro, hanno semplicemente deciso di abolire il popolo, producendo una nuova e gigantesca espropriazione di democrazia.

IL RISULTATO REFERENDARIO DEVE ESSERE RISPETTATO E TROVARE IMMEDIATA APPLICAZIONE

Per questo, il movimento per l’acqua si prepara a lanciare la campagna nazionale “Obbedienza civile”, ovvero una campagna che, obbedendo al mandato del popolo italiano, produrrà in tutti i territori e con tutti i cittadini percorsi auto organizzati e collettivi di riduzione delle tariffe dell’acqua, secondo quanto stabilito dal voto referendario.
Quello che avviene per l’acqua è solo il paradigma di uno scenario più ampio dentro il quale si colloca la crisi globale. Un sistema insostenibile è giunto al capolinea. I poteri forti invece di prenderne atto invertendo la rotta, ne hanno deciso la prosecuzione, attraverso la continua restrizione del ruolo del pubblico a colpi di necessità imposte dalla riduzione del debito e dai patti di stabilità, la consegna dei beni comuni al mercato, tra cui la conoscenza e la cultura, lo smantellamento dei diritti del lavoro anche attraverso l'art. 8 della manovra estiva, la precarizzazione dell’intera società e la conseguente riduzione degli spazi di democrazia.
Indietro non si torna. Dalla crisi non si esce se non cambiando sistema, per vedere garantiti: il benessere sociale, la tutela dei beni comuni e dell’ambiente, la fine della precarietà del lavoro e della vita delle persone, un futuro dignitoso e cooperativo per le nuove generazioni. 
Un altro modello di società è necessario per l’intero pianeta. Insieme proveremo a costruirlo anche nei prossimi appuntamenti internazionali, come la conferenza sui cambiamenti climatici di Durban di fine novembre e a Marsiglia nel Forum Alternativo Mondiale dell'acqua a Marzo 2012. 

Siamo vicini ai popoli che subiscono violenze, ingiustizie e vengono privati del diritto all’acqua come in Palestina, di cui ricorre il 26 novembre la Giornata internazionale di solidarietà proclamata dall’Assemblea della Nazioni Unite.

Per tutti questi motivi il popolo dell’acqua tornerà in piazza il prossimo 26 novembre e invita tutte e tutti a costruire una grande e partecipata manifestazione nazionale.

Vogliamo che sia il luogo di tutte e di tutti, da qui l’invito a costruirlo insieme, come sempre è stata l’esperienza del movimento per l’acqua. Un movimento che ha sempre praticato la radicalità nei contenuti e la massima inclusione, con modalità condivise, allegre, pacifiche e determinate nelle forme di mobilitazione, considerando le une inseparabili dalle altre.
Per questo, nel prepararci a costruire l’appuntamento con la massima inclusione possibile, altrettanto francamente dichiariamo indesiderabile la presenza di chi non intenda rispettare il modo di esprimersi di questa ricchissima esperienza.
Vogliamo costruire una giornata in cui siano le donne e gli uomini di questo paese a riprendersi la piazza e la democrazia, invitando ad essere presenti tutte e tutti quelli che condividono questi contenuti e le nostre forme di mobilitazione, portando le energie migliori di una società in movimento, che, tra la Borsa e la Vita, ha scelto la Vita.
E un futuro diverso per tutte e tutti.

Promuove: Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua

Per partecipare alla manifestazione di Roma dal Pinerolese ci si aggrega al Comitato Provinciale  Torinese che organizza un pulman che parte da Torino la sera del 25 novembre (venerdì) con ritorno nelle prime ore del mattino del 27 novembre (domenica). Per prenotazioni e informazioni scrivere una mail al comitato di Torino info@acquapubblicatorino.org  oppure telefonare cell: +39 388 85 97 492

martedì 8 novembre 2011

Appello per la manifestazione del 12 novembre 2011 a Novara: NO AGLI F-35

L'acquisto e l'assemblaggio di cacciabombardieri F-35 nello stabilimento che Lockheed Martin ed Alenia stanno facendo costruire all'interno dell'aeroporto militare di Cameri, a pochi chilometri da Novara, costituiscono l'ennesimo spreco di soldi pubblici.
 La ditta vicentina Maltauro, che ha vinto l'appalto per la costruzione  dei capannoni dall'inizio del 2011 ha cominciato i lavori. Mentre si tagliano spese sociali, sanità, pensioni, scuola, ecc., si spendono venti miliardi di euro per produrre strumenti di morte e distruzione (131 sono i cacciabombardieri che saranno acquistati dall'Italia). Scarse saranno le ricadute occupazionali  sul territorio; al contrario queste risorse saranno  sottratte ad altre attività socialmente utili che creerebbero posti di lavoro e benefici sociali (energie pulite e rinnovabili, servizi sociali, istruzione, ricerca, cultura, difesa del territorio, ecc.). 
 Inderogabili ragioni morali contrarie alla guerra e a tutte le fabbriche di armi, unite alla pesante crisi economica, che viene fatta pagare ai cittadini (soprattutto ai ceti sociali più deboli) e tocca le tasche e la vita  di tutti, ci costringono a prendere una posizione chiara e decisa.
Per questo continuiamo un percorso di decisa critica pubblica al progetto e proponiamo una Manifestazione di carattere nazionale da tenersi a Novara nella giornata di sabato 12 novembre 2011. Chiediamo l'apporto plurale di diverse realtà che concordino  nel contrastare  la costruzione e l'acquisto dei cacciabombardieri F-35 (ed il relativo spreco di almeno venti miliardi dei nostri soldi) e rivolgiamo un appello a tutte/i ad aderire e partecipare.
Concentramento ore 14.00 - Piazza Garibaldi (stazione F.S.)
per maggiori info info@noeffe35.org  http://www.noeffe35.org/ vedasi anche sito peacelink

lunedì 7 novembre 2011

Verbale della riunione GAS del 4 novembre 2011

Cari tutti
stavolta il verbale è un po’ lungo, ma è stato un incontro denso!
Nell’intento di consentire di districarsi anche a chi non c’era, è molto dettagliato. Si parla di energia, di cibo, di vestiti, di alcuni eventi con altri GAS e di come vogliamo lavorare insieme...
Chiunque rilevi la necessità di integrazioni o modifiche, è pregato di farle.

1) Giovanni Papa - che fa parte del GAS Val Pellice e di una cooperativa sociale che intende avviare un’attività di produzione agricola presso la struttura di Villa Olanda - ha partecipato alla nostra riunione per presentare una sua proposta relativa all’acquisto di energia elettrica. Avendo scoperto che esiste una società cooperativa di Ivrea - l’AEGcoop - che si occupa di distribuzione dell’energia elettrica e del metano nella zona di Ivrea e Torino, propone che i diversi gasisti si associno; Papa segnala che questa cooperativa - oltre a consentire ai clienti-soci di risparmiare e di ridistribuirsi gli eventuali utili - può creare nuovi posti di lavoro (dai suoi calcoli sarebbero 4 posti di lavoro a tempo pieno ogni 2000 nuovi clienti).
L’assemblea si riserva di approfondire la questione reperendo maggiori informazioni (che società è? Da quali fonti ricava l’energia che vende?) per capire meglio come lavora, se è coerente con i principi che il GAS segue in genere e se può diventare un’alternativa agli attuali fornitori.
Paolo precisa che i progetti nazionali GAS relativi al rifornimento di energia (di cui è al corrente avendone seguito lo sviluppo anche durante il convegno nazionale GAS/DES dell’Aquila) sono per ora fermi per diversi problemi tecnici e amministrativi.
Si decide di reperire maggiori informazioni sia attraverso il sito internet della AEGcoop (anche se pare non contenga molti dettagli), sia attraverso il GAS di Ivrea, che potremmo incontrare a Torino il 19 e 20 novembre, in occasione dell’evento descritto in seguito. 
 
2) Francesco illustra gli esiti della ricerca condotta sulla possibile fornitura di trote:
- il vivaio di Villafranca propone trote intere, non pulite, a 5€ al Kg; non è disposto a consegnarle al GAS, nè a venire alla riunione a fare una presentazione della propria attività
-  il laghetto di Villar Pellice propone trote a 6,50€ circa; i pesci vengono puliti; sono disposti ad organizzarsi per riuscire a trasportarli a Pinerolo e sono interessati a presentare la loro attività ed i loro prodotti, purchè avvenga un mercoledì sera.
La preferenza va quindi al laghetto di Villar Pellice.
Si decide di organizzare la serata di presentazione per il 14 dicembre (prima di quella data il mercoledì sera non ci sono spazi liberi allo Stranamore)

3) Elena illustra i prodotti tessili finora esplorati per un possibile acquisto: oltre a Made in NO, produttore di biancheria intima di cotone biologico da cui abbiamo già acquistato lo scorso anno con soddisfazione, possiamo valutare l’acquisto di indumenti di cotone biologico della Be cotton.
Filiera: L’azienda è composta da diversi piccoli laboratori della zona del biellese, che lavorano in filiera: il cotone viene acquistato dal consorzio svizzero BioRe, che commercializza dei filati di cotone prodotto in India e Tanzania rispettando i criteri della coltivazione biologica e del commercio equo e solidale (trattamento corretto dei lavoratori) e, in sequenza, diversi laboratori si occupano di: costruire il tessuto di maglia; costruire i modelli; tingere i tessuti (non vengono usate tinte naturali per la loro scarsa stabilità ai lavaggi, ma l’azianda che tinge ha il certificato Oecotex, che garantisce l’assenza di sostanze nocive, utilizzate nei comuni processi di colorazione industriale, nel corso della lavorazione) e confezionare i capi. La cooperativa sociale Raggio verde si occupa del progetto nel suo insieme e della logistica.
Costi: La Be cotton prevede uno sconto del 20% sul prezzo di listino per i GAS.
La responsabile dell’azienda ha spiegato che l’aumento considerevole dei prezzi dallo scorso anno è legato all’aumento dei costi delle materie prime registrato ad agosto. Poichè l’azienda aveva bisogno di cotone e non ha grande potere contrattuale, è stata costretta ad acquistare, tra l’altro un grande quantitativo, ai prezzi imposti dal mercato. Avendo pochissimo margine di guadagno sui prodotti, sono stati costretti a trasferire l’aumento di costi sull’aumento di prezzo del capo finale. Pensano di poter acquistare le prossime forniture a costi inferiori, essendo nel frattempo scesi i prezzi, e di poter riabbassare i costi dei capi che produrranno successivamente.
Al momento, confrontando un capo analogo prodotto da Becotton e da Made in NO, Becotton è più costoso di circa il 20%.

E’ possibile ordinare i capi di abbigliamento solo se già disponibili in magazzino. Dunque occorre scegliere i prodotti guardando il catalogo fotografico www.becotton.com (sapendo che i prezzi saranno scontati del 20%) e poi verificare quali taglie e colori sono disponibili di quel capo. La Becotton offre le informazioni in modo separato ed organizzate in modo tale da non rendere semplice la loro associazione, ma se l’acquisto interessa si cercherà di costruire un file unico che permetta di scegliere ed ordinare agilmente.
La Becotton è disponibile ad inviare un campione dei loro prodotti per poterne prendere visione direttamente.
Non è chiaro quanti nel GAS avvertano l’esigenza di acquistare capi di abbigliamento di questo tipo, ma si decide di procedere così: si chiede alla Be cotton di inviare qualche capo di abbigliamento che consenta di vedere: tipi di tessuti, modelli, colori e taglie diversi tra loro.
Dopo averli visti direttamente si deciderà se aprire un ordine.
Nel frattempo verrà comunque aperto l’ordine Made in NO.
Alcuni segnalano interesse per dei capi in lana. Viene citato un laboratorio cooperativo di Briançon di cui alcuni di noi hanno visto i prodotti in occasione di fiere varie, così come una fiera annuale del filato che si tiene a Collegno, che potrebbe essere una buona occasione per conoscere produttori. Non si decide nulla al riguardo.

4) Paolo ricorda l’iniziativa della Provincia finalizzata all’incontro GAS-produttori agricoli della provincia di Torino “La borsa e i valori” che si terrà il 19-20 novembre.
Si sono iscritti diversi produttori agricoli (anche del nostro GAS), molti GAC ed alcuni GAS.
Sarà l’occasione per conoscere altri GAS ed altri produttori agricoli e per approfondire insieme alcuni temi. Inoltre verranno organizzate iniziative per illustrare cos’è un GAS e come funziona per i cittadini che desiderano farne parte o attivarne uno. In allegato al verbale troverete il volantino dell’evento.
In relazione con quell’evento, in cui i GAS si confronteranno anche tra loro su alcune questioni relative il rapporto coi produttori agricoli, Silvia illustra la scheda di valutazione dei produttori, su cui GASTorino sta lavorando per aiutare i GAS a confrontarsi con i produttori. Nella riunione è circolata la scheda elaborata finora ed un’altra più raffinata e complessa costruita dall’AREGAI, ma si è deciso di approfondirla in una riunione apposita.

Paolo ha iscritto il nostro GAS all’evento del 19-20 novembre; questo implica l’apparire nel catalogo dei GAS della provincia di Torino (che sarà stampato e distribuito in occasione dell’evento) e la disponibilità a collaborare con GasTorino nella gestione del banchetto GAS o delle iniziative annesse.
Nessuno segnala la propria disponibilità al riguardo e chi vorrà parteciperà a titolo individuale, come visitatore. 
Silvia si è iscritta e parteciperà come produttrice.

5) Cogliamo l’occasione di quest’iniziativa e dei modi di coinvolgersi (o meno) del nostro GAS per discutere un po’ sul nostro funzionamento:
Da un lato si segnala che la scarsa disponibilità a partecipare attivamente (a quest’iniziativa come ad altre) è dovuta alla scarsa conoscenza delle stesse e soprattutto alla mancanza di una vera discussione e decisione comune sul cosa fare o non fare e come.
Paolo ricorda di aver sempre inviato a tutti le informazioni ed i documenti riguardanti qualunque iniziativa e lamenta piuttosto una scarsa disponibilità al coinvolgimento da parte dei gasisti, che non rispondono neanche alle richieste esplicite di collaborazione (tipo il questionario sul GAS che si è chiesto di compilare per aiutare la studentessa di Trieste, che ha ottenuto 5 risposte soltanto). 

L’esito, frequentemente, è che in pochi (o a volte in uno soltanto) ci si fa carico di partecipare a riunioni con altri GAS, gestire iniziative, organizzarle etc. 

Ragioniamo un po’ anche sulle riunioni: anch’esse poco partecipate sia dal punto di vista numerico (siamo sempre 15/20 su 80 iscritti al gasdotto), sia dal punto di vista della presa di parola e decisione (a volte non si capisce, ad esempio, se ai presenti interessi davvero acquistare i prodotti di cui si parla in riunione).

Secondo alcuni deve essere accettata la costante assenza di molti soci, fermo restando che le decisioni vengono ovviamente prese da chi partecipa alle riunioni.
Alcuni presenti ipotizzano che il calo di presenza sia dovuto al fatto che ci si occupa troppo poco di conoscere nuovi produttori e ci si dedica troppo ad altre questioni, che non facevano parte dell’obiettivo con cui il GAS è nato (ma non è emerso nella riunione quali siano), oppure che le varie questioni sono già state affrontate sufficientemente e che dunque sembra ridondante approfondirle ancora (ad esempio i criteri per la scelta dei produttori, che sono già in parte molto chiari).
Si evidenziano anche due ipotesi opposte: che abbiamo già i fornitori dei prodotti di base necessari e che dunque non siano più necessari molti incontri con produttori nuovi; oppure che invece si debba continuare ad esplorare il territorio per conoscere le varie realtà produttive, anche se poi si decidesse di non acquistare tutto ciò che viene presentato.

Qualcuno segnala tra le ragioni di scarsa partecipazione anche l’inconcludenza delle nostre riunioni: frequentemente dopo la presentazione di un produttore tutto viene lasciato cadere e non si decide nulla; anche perchè nelle riunioni si sommano troppe questioni da affrontare: presentazioni di prodotti, proposte di iniziative cui partecipare, problemi logistici, confronto su questioni più generali.

Abbiamo ipotizzato alcune modalità che ci potrebbero aiutare a lavorare meglio insieme:

-  Differenziare gli incontri in cui si invitano dei nuovi produttori da quelli in cui ci si dedica all’approfondimento di questioni GAS (ad es. come si scelgono i prodotti da cercare e come si valutano i produttori..)  
-  organizzare incontri di durata inferiore (dalle 21 alle 23) in cui affrontare poche cose con il giusto tempo
-  stabilire un giorno mensile fisso per le nostre riunioni, in modo che ciascuno possa tenerlo presente per programmare altri impegni (tendenzialmente sarebbe il martedì, che non sollevava problemi per nessuno dei presenti; se qualcuno degli assenti volesse partecipare e non potesse il martedì, lo può segnalare e troveremo un’altra soluzione) 
-  trasformare la mailing list esistente in una aperta, in cui circolino direttamente le richieste e le proposte di ciascuno e le risposte che gli altri gasisti danno; potrebbe essere usata anche nei giorni dopo l’incontro con un produttore per condividere valutazioni e domande che sono sorte al di fuori dell’assemblea  

Per aiutarci a lavorare nelle riunioni emerge anche la proposta che, almeno sui temi impegnativi, vengano costruiti sottogruppi - in base alla competenza, all’interesse e alla disponibilità - che potrebbero farsi carico di raccogliere le informazioni ed elaborarle già un po’, in modo da presentare all’assemblea dei materiali che consentano di discutere più proficuamente e prendere insieme delle decisioni. (Un po’ il lavoro che fanno già i referenti sui singoli prodotti, ma allargato anche ad altre questioni più trasversali)

Paolo segnala il convegno finale dell’iniziativa “La filiera corta che vorrei..che si terrà il 3 dicembre al museo del Gusto di Frossasco, che doveva essere organizzato entro il mese di dicembre a chiusura del progetto finanziato dalla Regione. Programma di massima:
-ore 9,30 - presentazione del convegno da parte del gas pinerolo stranamore con proiezione di un filmato che riassume gli 8 incontri che abbiamo tenuto sul tema della Filiera corta che vorrei...
-ore 10,00 Dibattito sul ruolo della filiera corta in agricoltura (interventi di istituzioni e  organizzazioni agricole).
-ore 13,00 Pranzo preparato con i prodotti dei nostri produttori
-ore 15,30 I GAS l'economia solidale e la filiera corta - Incontro dibattito tra gas nonchè eventuali realtà solidali del pinerolese e non solo
Sul sito del GAS troveremo il programma dettagliato.

Per quanto riguarda il pane presentato da Heritier nell’incontro di settembre, non si capisce quante persone sarebbero disponibili ad acquistarlo con regolarità, nè sono chiare le condizioni alle quali il panificatore è disponibile a rifornire il GAS. Si decide quindi che verrà ricontattato (da Dario?) perchè nel prossimo incontro si possano comunicare le sue condizioni ed il GAS possa valutare se può far partire un ordine.

Silvia segnala la disponibilità, anche per quest’anno, di alcuni capponi forniti dalla contadina dell’anno passato.     

Operativamente dunque abbiamo un autunno ricco di appuntamenti:

Il 19 e 20 novembre 2011 a Torino per La borsa e i valori (ci si va come visitatori singoli); occasione per conoscere produttori, ma anche altri GAS più o meno vicini.

Il 3 dicembre 2011 al Museo del Gusto di Frossasco dalle ore 9,30 alle ore 17,30 per il convegno finale del ciclo La filiera corta che vorrei.. (anche lì, partecipazione singola; se qualcuno è disponibile a collaborare logisticamente, contatti Paolo, Andrea o Dario e lo segnali)

Il 6 dicembre 2011 alle 21 avrà luogo la nostra prossima riunione: ci incontriamo per approfondire ancora un po’ la riflessione sui criteri di scelta che si possono adottare per scegliere prodotti e produttori. Utilizzeremo le schede su cui ha lavorato finora il GASTorino - che inviamo già ora in allegato - e cercheremo di portare delle riflessioni già elaborate che ci aiutino a discuterne concretamente tra di noi.

Il 14 dicembre 2011 alle 21 ci incontriamo con il produttore di trote di Villar Pellice per conoscere lui ed i suoi prodotti.